Paesi tuoi - Cesare Pavese

Paesi tuoi

Paesi tuoi è un romanzo dello scrittore Cesare Pavese scritto nel 1939 e pubblicato nel 1941

Le ragazze bevevano meglio di me. Ce n'era quattro. Sento che chiamano Miliota quella che aveva portato da bere alle bestie. Con vent'anni aveva la pelle di un uomo a quaranta, e faceva venire in mente il piatto spesso dove mangiavo. Erano quasi tutte scalze, e sotto la tavola pestavo dei piedi, ma loro non sentivano il male. Da mangiare ce ne dava una nonna ch'era la madre di tutte e di Talino e girava a riempire le scodelle dei nipoti, e le dicevano: — Sedetevi, Ma', — perché chinandosi gemeva e aveva sempre qualcuno nelle gambe. Pareva impossibile, a vedere le figlie, che le fosse uscita di dosso tanta roba. Faceva spavento pensare che schiena e che gambe doveva aver avuto da sposa, e adesso com'era ammuffita. Il vecchio Vinverra, cappellina in testa, ci guardava tutti sopra il cucchiaio, e sorbiva.
Si alza un'altra ragazza dal fondo e dice: — Accendiamo il petrolio —. La vecchia borbotta di no perché tira le mosche. — Tanto ci sono, — gridano le altre, e portano la lampada e io metto il cerino. Alla luce quelle facce diventano come ai bagni di mare, piú cotte e piú larghe. Quella che aveva acceso si toglie il fazzoletto e si tocca i capelli; non l'avevo guardata prima, somigliava a Talino ma solo un'idea: era la meno manza e la meno nera, e si aggiustava i capelli di nascosto.
Tutti parlavano di quel Berto di Bra, e che anch'io mi chiamavo Berto e del mestiere che faceva, e dice vecchio: — Tua sorella ha spaccato la vanga che mi aveva venduto per ferro.
Un bel momento Talino si drizza e viene dietro alla ragazza che mi guardava, e le ficca una mano nel collo e lei fa un salto e tutti ridevano. Talino le aveva cacciato qualcosa sulla faccia e fregava, e la ragazza sputava, e Talino diceva: — Col peperone sul bocchino... come si fa a Torino —; finché la ragazza non si fu liberata e scappò per la scala.
— Ben fatto, — dice il vecchio Vinverra. Le altre ridevano: — Gisella, Gisella, — e la vecchia malediva dal buio.
Stiamo attenti, non siamo piú a Torino, dico tra me in quel caldo. Questo qui con la scusa che è stupido, mi fa incornare da un bue alla prima occasione, se non gli lascio le sorelle per lui. Ma a buon conto si chiama Gisella.
Le altre due si chiamavano Pina e l'Adele —, ma l'Adele era quella che ci aveva portato da bere col secchio, e aveva già fatto i suoi bambini e sembrava la madre di tutta la casa. Dava l'aria a Talino anche come guardava; e io, chè avevo visto Talino là dentro fare il bagno, mi figuravo che pelle e che sudore dovevano averci tutte sotto la camicia.
Poi l'Adele, mangiato e bevuto, va per la strada di Gisella, e ritorna con uno appena nato attaccato alla poppa e si siede sullo scalino della porta. Dopo un po', vedo che anche Gisella era seduta sullo scalino.
La vecchia porta sulla tavola un catino d'insalata, e Talino la mescola in piedi, prende degli altri peperoni, la vecchia taglia le cipolle, e ci buttano tutto e ci versano dentro l'aceto. Poi mi dicono di pulire il piatto col pane, e me lo riempiono. Faceva ridere la vecchia che, sdentata com'era, si succhiava i pomodori come fossero uova.
— Gisella li ha già mangiati i peperoni, — dice Talino, a bocca piena.
Vinverra, che aveva finito, si alza borbottando. Talino si mette a ridere. Allora Gisella dalla porta dice senza voltarsi:
— Vatti a sotterrare.
Talino dice: — Erano buoni i peperoni?
— Vatti a sotterrare.
— Te lo sei fatto il bocchino?
— Vatti a sotterrare!
— Tu piantala lí, — dice il vecchio sulla porta. Le altre ridevano.
— Vatti a sotterrare! — grida Gisella voltandosi come una matta. Torna in prigione dov'eri! Sei soltanto un vigliacco. Ti sei fatto accompagnare perché avevi paura...
— Erano buoni i peperoni?
— ...Hai paura di tutti, perché c'è Rico che ti cerca. Hai paura di quelli del Prato. Sei soltanto capace a scappare di notte e ti sei fatto accompagnare perché avevi paura. Vigliacco e bastardo, sei soltanto capace a scappare di notte...
Qui si misero tutti a gridare perché il vecchio s'era tolta la cinghia e picchiava Gisella come fosse una scarpa. Ma Gisella non scappava, ficcava la testa contro il fianco d'Adele e mugolava e sembrava un serpente e l'Adele riparava il suo bambino col braccio. Il vecchio non diceva niente: s'era tolta la cappellina e batteva. Io, a vent'anni, al posto di Gisella l'avrei fatta vedere quel vecchio.
Poi Vinverra, finita la donna, fa un mezzo giro e salta addosso all'uomo, che stava già tra il lusco e il brusco, e gliene molla una cinghiata che si sentí in tutta la stanza. Ma Talino scappò subito.
Fecero tutti silenzio, anche la vecchia: solo si sentiva Gisella sbavare sullo scalino e l'Adele coccolare il piccolo che non si era neanche staccato.
Fermo in mezzo alla stanza, il vecchio dice: — Fuori tutti! — Usciamo nel cortile scavalcando le due donne e ci sediamo sul trave, e Vinverra si porta la sedia. Una volta passati tutti, Gisella salta in piedi e va a nascondersi in casa.
— Non sembra neanche suo fratello, — dice Vinverra accendendo il. toscano.
Un'occasione cosí doverla perdere, e una ragazza che si sta rivoltando non poterla portare in un prato. Perché il bello in campagna è che tutto ha il suo odore, e quello del fieno mi dava alla testa: un profumo che le donne, solo che abbiano un sangue un po' sveglio, dovrebbero stendersi.
Guardo in su i pipistrelli che volano e mi vedo davanti, bella rosa, la collina del treno, col suo capezzolo sulla punta, e dei lumi sul fianco, e mi volto, ma la casa nasconde quell'altra che si vedeva dall'aia. Siamo in mezzo a due mammelle, dico; qui nessuno ci pensa, ma siamo in mezzo a due mammelle.
— Laggiú è Monticello, — dice il vecchio, mostrandomi i lumi.
— Talino, — fa Miliota, — ci va domani.
— C'è tempo, — dice il vecchio, brusco.
Ne avevo abbastanza. — Quasi quasi faccio un giro intorno alla casa. Ho le cipolle sullo stomaco.
— Ci vuole del vino. Ma', porta la secchia, — fa il vecchio subito. — Bevete una volta. È il calore.
Arriva il vino e col bicchiere in mano torno a guardare i pipistrelli. Adesso era scuro e, tra grilli e cani, dalla collina non si sentiva piú altro.
Nella luce della porta l'Adele leva la faccia dal bambino addormentato e dice piano: — Senti il cane del Prato. Sa che c'è il macchinista e Talino. Gli hanno detto che è tornato Talino, e lui morde già la catena.
— Chi sa come la morde Rico, — dice un'altra, — adesso che è tornato Talino.
— Diavolo, — fa il vecchio, saltando su, — l'avete legato il cane? Corri subito, Pina, Miliota, voi sapete soltanto mangiare. Ho bisogno che faccia la guardia. Voi pensate soltanto alla veste, ma se bruciamo restate in camicia.
Pina andò correndo coi ragazzi e dopo un poco sentiamo abbaiare e gridare, dalla parte dell'aia.
— Pinota dice, — ricomincia l'Adele a voce bassa, — ch'è stato Rico a minacciare quelli del Prato, se parlavano. Dice che ha fermato Ernesto verso sera, all'Orto, e gli ha detto che Talino doveva uscire, perché lui vuole pagarsi di sua mano e in prigione si stava troppo bene. Dice che vuole andarci in prigione, dopo averlo ammazzato.
— Vagabondi, — fa il vecchio sulla cicca, — vagabondi che non hanno casa e la cercano dal governo.
Miliota, che masticava qualcosa, dice: — Talino, allora, non doveva tornare. Perché è tornato?
— Perché non ha fatto niente, — dice il vecchio, guardandoci tutti. — Perché la giustizia c'è, e i carabinieri lo sanno che se qualcosa si muove basta che vadano alla Grangia...
L'Adele pareva che ridesse allo scuro, come fanno le donne quando mettono su un uomo. Io la guardo staccando la sigaretta a mano riversa e mi viene in mente quando Talino rideva perché l'avevano prosciolto; e allora penso che, goffo com'era, era riuscito proprio a farmela. Mi viene la rabbia perché adesso capivo cosa aveva gridato Gisella, e che non era per il padre che mi aveva portato, ma per farsi guardare la pelle da me. Ma stai fresco, pensavo, te la facciano pure se sei cosí stupido da nasconderti in un pozzo per un pagliaio che non hai bruciato. Anch'io lo brucio il paglione, e vedrai.

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