Il carcere
Il carcere è un romanzo breve di Cesare Pavese scritto tra il 27 novembre e il 16 aprile 1939 che venne pubblicato nel 1949
Stefano sapeva che quel paese non aveva niente di strano, e che la gente
ci viveva, a giorno a giorno, e la terra buttava e il mare era il mare,
come su qualunque spiaggia. Stefano era felice del mare: venendoci, lo immaginava
come la quarta parete della sua prigione, una vasta parete di colori e di
frescura, dentro la quale avrebbe potuto inoltrarsi e scordare la cella.
I primi giorni persino si riempí il fazzoletto di ciottoli e di conchiglie.
Gli era parsa una grande umanità del maresciallo che sfogliava le
sue carte, rispondergli: — Certamente. Purché sappiate nuotare.
Per qualche giorno Stefano studiò le siepi di fichidindia e lo scolorito
orizzonte marino come strane realtà di cui, che fossero invisibili
pareti d'una cella, era il lato piú naturale. Stefano accettò
fin dall'inizio senza sforzo questa chiusura d'orizzonte che è il
confino: per lui che usciva dal carcere era la libertà. Inoltre sapeva
che dappertutto è paese, e le occhiate incuriosite e caute delle
persone lo rassicuravano sulla loro simpatia. Estranei invece, i primi giorni,
gli parvero le terre aride e le piante, e il mare mutevole. Li vedeva e
ci pensava di continuo. Pure, via via che la memoria della cella vera si
dissolveva nell'aria, anche queste presenze ricaddero a sfondo.
Stefano si sentí una nuova tristezza proprio sulla spiaggia un giorno
che, scambiata qualche parola con un giovanotto che s'asciugava al sole,
aveva raggiunto nuotando il quotidiano scoglio che faceva da boa.
— Sono paesacci, — aveva detto quel tale, — di quaggiú
tutti scappano per luoghi piu civili. Che volete! A noi tocca restarci.
Era un giovane bruno e muscoloso, una guardia di finanza dell'Italia centrale.
Parlava con un accento scolpito che piaceva a Stefano, e si vedevano qualche
volta all'osteria.
Seduto sullo scoglio col mento sulle ginocchia, Stefano socchiudeva gli
occhi verso la spiaggia desolata. Il grande sole versava smarrimento. La
guardia aveva accomunata la propria sorte alla sua, e l'improvvisa pena
di Stefano era fatta di umiliazione. Quello scoglio, quelle poche braccia
di mare, non bastavano a evadere da riva. L'isolamento bisognava spezzarlo
proprio fra quelle case basse, fra quella gente cauta raccolta fra il mare
e la montagna.