La zuppa di pesce
Le ruote del carrello tendono inesorabilmente a destra e mi costringono
a continue correzioni di traiettoria. A guardarmi ondeggiare tra gli scaffali
potrei sembrare ubriaca. Una quarantenne ubriaca alle nove del mattino.
Tuttavia non c'è troppa gente ed è anche per questo
che faccio la spesa alle nove.
Il supermercato delle nove mi dà sicurezza, corsie e corsie silenziose
di cose da mangiare, cose da bere, cose per la casa, per il giardino, per
il tuo cane. Cose e cose per tenere la vita in ordine, insomma, e farla
girare come si deve, senza clamore.
L'altro motivo delle mie spese mattutine è la pace ipnotica
del reparto frutta a quest'ora, prima di essere assalito dall'orda
dei compratori di cibo da supermercato.
Gli ortaggi sono allineati e in ordine nei cesti, lucidi nei loro viola
e rossi e verdi, ammiccanti come non mai. Le bilance fai-da-te sono tutte
libere, i distributori di guanti e sacchetti sono pieni.
Ho comprato delle melanzane tonde e dei limoni giganti, che spiccano nel
carrello semi-vuoto. Di solito faccio una spesa piccola, detesto caricarmi
di buste e arrancare goffamente fino a casa.
La mia ultima tappa è il banco del pesce, sono alcuni giorni che
ne mangio e non mi sento ancora sazia. Oggi ho deciso di regalarmi una zuppa
di pesce a regola d'arte.
Il commesso del pesce non c'è; un uomo, anche lui in attesa,
mi fa cenno di aspettare.
Lascio scivolare lo sguardo sulle varietà di pesci distesi sul ghiaccio
tritato. L'arancio rosato e scorzoso dei gamberi, il palombo fresco,
le seppie aggrovigliate come viscere. La mia attenzione si concentra sui
polpi. Mia nonna mi ha insegnato a bollirli immergendo nell'acqua
di cottura un tappo di sughero. Diceva che sarebbero risultati più
morbidi. Francamente mi sembra una sciocchezza, ma io il mio tappo di sughero
ce lo metto sempre. Visto mai.
“Se non fosse per la fatica di pulirli”, dice l'uomo.
“Prego?”, faccio io.
“Dicevo, se non fosse che bisogna pulirli. I polpi, intendo. Per quanto,
a me piace. Hanno una consistenza piacevole, non trova?”
Ha un bel sorriso sotto la barba rossiccia, e un paio di occhiali da sole
tirati sopra la testa, praticamente calva. Sembra più giovane di
me. Le mani, appoggiate sul vetro di protezione del banco, ondeggiano appena.
La punta delle dita sfiora i pesci più vicini.
“Non ho mai pensato ai polpi come ad animali piacevoli” rispondo
io, “anzi, il loro aspetto mi inquieta. Gli occhi, ad esempio, sembrano
cattivi”.
“Non è facile essere bendisposti verso qualcuno che sta per
ucciderti, non trova?”
Getto una rapida occhiata intorno a noi, il commesso non arriva. Le prime
casse che vedo da qui sono chiuse.
L'uomo ha lasciato scendere un po' le mani, spostandole verso
i polpi. Li sta toccando. Sento un brivido di freddo, pensando al freddo
che deve provare lui nel contatto.
Comincia a muovere la mano destra, con il dito indice disegna i contorni
di quelle creature inerti, compiendo l'arco della testa, scendendo
e risalendo ad ogni tentacolo.
“Vuole provare ad accarezzarli?”, mi dice, voltandosi verso
di me.
“No, non credo che…”, ma non riesco a finire la frase
che mi ha già preso la mano.
Mi lascio guidare senza opporre alcuna resistenza, sento il ghiaccio che
mi investe le dita come un vento leggero, e poi la pelle liscia di un polpo
sotto i polpastrelli.
L'uomo mi spinge la mano verso il basso, in modo che tutto il palmo
sia a contatto con il polpo.
Non riesco a parlare, non ho nulla di intelligente da dire.
Il desiderio di toccare i polpi adesso è irresistibile, allungo il
braccio fino a sentire quella carne gelata che mi solletica il polso.
Ora le nostre mani sono confuse tra i polpi, li sollevano, si infilano tra
i corpi, si fanno strada in mezzo ai tentacoli. Le nostre dita affondano,
sento qualcosa di molle infilarsi sotto le unghie. Le mie belle unghie laccate.
La porta in fondo alla parete si apre. Il commesso del pesce, con il suo
grembiule verde acqua, avanza verso di noi.
Ritiriamo le mani in fretta, l'uomo ha un sorriso di traverso e appoggia
la mano sul vetro come se niente fosse. Io infilo la mia in tasca e la chiudo
a pugno. Sono disorientata, sfrego l'indice contro il pollice e sento
quel muco vischioso. Penso che ci vorrà una vita a mandar via l'odore
dalla stoffa.
Il commesso del pesce ci guarda, si strofina le mani sul grembiule e dice:
“Chi devo servire?”