Caramelle

Quando il venditore
di caramelle se ne andò,
per qualche inspiegabile motivo
sentì il cuore
riempirsi di acqua fredda,
come un pozzo.

La madre

Guardò soddisfatta il verde ben nutrito delle sue piante.
L'acqua stava scivolando dentro la terra bruna, le foglie erano lucide e i vasi ben allineati.
Pensò che avrebbe voluto che anche sua figlia fosse così.
A posto. Rigogliosa.
C'era stato un momento, qualche tempo fa, in cui era successo qualcosa.
Sua figlia veniva a trovarla raramente, qualche volta si sentivano al telefono.
Non erano mai riuscite a capirsi.
Tuttavia di colpo aveva cominciato ad aumentare le visite. Senza dire niente, e lei l'aveva accolta, senza chiedere.
Sua figlia era innamorata.
Non si sbagliava, era diventata quasi bella e gli occhi avevano quella luce.
Come somigliava a lui!
Lo sguardo di sua figlia le procurava delle fitte, ancora, dopo tutti quegli anni.
Avrebbe voluto dirle qualcosa, ma soprattutto di tenerli a bada, i suoi occhi.
Si sentiva meschina, con quei rigurgiti di rabbia che sua figlia non meritava.
Avrebbero dovuto parlare dell'uomo, invece.
Lei non si sentiva all'altezza di darle consigli, ma l'avrebbe ascoltata volentieri, si sarebbe nutrita di quell'amore.
Come le sue piante.
Forse, nelle parole di sua figlia, avrebbe ritrovato qualcosa di sé.
Se era stata felice, un tempo, non ne aveva più memoria.
Ma tutte le domande che avrebbe voluto farle le morivano tra i denti. Morì anche la sua speranza, quando vide gli occhi di sua figlia, di nuovo, spegnersi piano. Le visite si diradarono, l'onda si ritirò, con un lieve fruscio.
Non c'erano sogni da sognare, nelle donne della sua famiglia.
Il tempo mangiava il sorriso della sua bambina come aveva fatto con il suo.
Il tempo mangiava tutto, per fortuna, anche il dolore di certi ricordi.
Allora si poteva respirare in pace.
Occuparsi senza colpa di cose piccole, che nessuno poteva vedere.
Come i granelli di polvere sulle foglie delle sue piante.
Sulle sue spalle. Sulla sua vita.

La figlia

Vendeva caramelle all'incrocio dei miei trent' anni.
Non si poteva ancora dire primavera, ma il sole già mi
scaldava le guance.
La prima volta che lo vidi mi offrì un bastoncino di zucchero, il rosso e il bianco che salivano a spirale.
Mi venne voglia, mentre marzo mi rotolava tra i piedi, di allungare la strada ogni volta che andavo a trovare mia madre.
Lei mi guardava perplessa e curiosa. Si chiedeva, credo, come mai capitassi così spesso.
Compravo caramelle, a volte. Sempre senza parlare.
Salivo sul muricciolo di fronte, con le spalle al mare, e succhiavo quel tempo così dolce.
All'inizio di aprile l'ho visto intento a leggere qualcosa, una lettera, credo.
Le sue labbra si muovevano piano.
Quel giorno alzò gli occhi su di me una sola volta, e me li piantò addosso a lungo.
Non lo vidi più, da allora. Non potevo immaginare che mi stesse salutando.
Passai e ripassai per quell' angolo di strada.
Di lui nessuna traccia.
Ieri sono salita ancora sul muricciolo, guardando il quadrato d'asfalto irrimediabilmente vuoto.
Il mio cuore si è riempito di acqua fredda, come un pozzo.
Pensai che non sapevo neanche il suo nome.

Il postino

Ero con la testa altrove, quando l'ho visto venirmi incontro.
Sarà che questo posto non mi piace. Ha un odore che non mi piace. Ed è abitato solo dai topi, a parte lui.
Mi hanno detto che vende caramelle da qualche parte, qui vicino.
La sua casa ha qualcosa di morbido, l'ho intravista pochi giorni fa, per la consegna di un pacco.
Mentre firmava la ricevuta, guardavo al di là delle sue spalle le grandi finestre ricoperte di stoffa scura. L'aria aveva un vago colore ambrato.
Cuscini sui divani e sul tappeto.
Ha sollevato lo sguardo, sorridendo.
La porta si è chiusa come un sipario che cala.
Sono sceso di nuovo sulla strada, con il ricordo di un profumo un po' umido e caldo, di sottobosco.
Anche oggi mi sorride, mentre gli allungo la lettera.
Non ho neanche avuto il tempo di dare un'occhiata al timbro.
E' sorpreso, io non meno di lui, quando si appoggia a me, come per non cadere.
Legge in silenzio.
Dev'essere abituato a vivere in solitudine, così me lo immagino.
Essere soli può fare molta paura.
La sento, la sua paura, che mi ha artigliato il braccio e mi chiede di aspettare.
Mi concentro sulle sue mani lunghe e scure.
Non tremano, ma in qualche modo sento che dovrebbero.
Le abbassa di colpo ed il suo corpo scende con loro.
Mi accovacciavo così, secoli fa, quando volevo sfuggire a mio padre.
Quando mi trovava tentavo di farmi piccolo, schiacciato da quei suoi occhi implacabili.
Gli tocco la spalla e sono già pentito del mio gesto.
Ma non siamo mio padre ed io, qui.
Quello che incontro è uno sguardo grato.
Si alza di nuovo in piedi, il suo corpo sembra bucare l'aria.
Ora può lasciarmi andare.
Le mie gambe si sciolgono e si rimettono in marcia, con una fretta che non capisco.
Mi volto a guardarlo, lo vedo allontanarsi, con la lettera ad ondeggiare al suo fianco come una vela.

La vecchia alla finestra

I gesti di sempre.
Il letto caldo e pieno di coperte ha ospitato la consueta guerra notturna.
Non pensavo che alla mia età ci si agitasse ancora così tanto, nel sonno.
Il solito caffelatte con poco zucchero e due biscotti.
Scosto le tendine a fiori, per annegare nel mare che mi riempie la finestra.
La novità mi colpisce come uno strappo.
Lui non c'è più.
Lo spazio occupato dai suoi dolciumi è vuoto.
Intanto i miei pensieri di vecchia si muovono piano.
Ricordo quando è arrivato qui con le sue caramelle.
Somiglia a mio nipote, ho pensato, ma ha gli occhi un po' troppo pieni, per la sua età.
A pensarci bene, non aveva la faccia di uno che resta.
Penso a lei con una fitta, ai suoi passaggi mattutini e silenziosi.
Non mi era mai successo di assistere ad un amore che nasce così, come da una vetrina.
Era vita, quella.
Io restavo a guardarla, mi sentivo un'invitata ad una festa a cui partecipavo solo con gli occhi, addossata al muro a scrutare la gente.
Lei sta arrivando, sempre alla solita ora.
Rallenta. Si ferma.
Sale sul muricciolo, mentre il mio cuore si fa stretto.
Povera ragazza, mi sembra di sentirli, i suoi pensieri.
Vorrei aprire la finestra e invitarla da me per un tè.
Sciocca vecchia che sono.
Si allontana a passi lenti, osservo le sue spalle diventare sempre più piccole nella luce sfocata di aprile.
Chiudo le tende e sospiro. Il mio gatto avrà fame.

dueanime