Lettere a Milena

"Amore è il fatto che tu sei per me il coltello con cui frugo dentro me stesso"

Sul balcone della pensione Ottoburg di Merano, dove si era recato per un soggiorno di cura, Kafka scrisse, a partire dall'aprile del 1920, le prime lettere a Milena Jesenska-Polak, una giovane traduttrice ceca che aveva conosciuto a Praga. Amici e amiche così la descrivono: «... fu prodiga di tutto in misura incredibile: della vita, del denaro, dei sentimenti», «. . . non considerava vergogna avere sentimenti profondi. L'amore era per lei un che di chiaro, di ovvio» e Kafka ne completa il ritratto: «Lei è un fuoco vivo come non ne ho mai visti». Prima di Milena ci furono altre donne nella vita di Kafka, ma nessun'altra riuscì a scandagliare così in profondità l'animo di un uomo costretto all'ascesi non per vocazione o come scelta di un atto eroico, bensì per la sua incapacità di scendere a compromessi. Queste Lettere a Milena sono la cronistoria di un amore complesso, profondo e che già prima di iniziare sembrava destinato a finire.

immagine di milena foto di franz kafka

Milena Jesenská e Franz Kafka

Milena

A Praga con Milena Jesenska

"Tu mi appartieni, anche se non dovessi vederti mai più"
a Milena, 12. Juni 1920.

Sembra una frase d'amore come tante, di ieri e di oggi, ma a scriverla non è un innamorato qualunque. E' Franz Kafka. E questo è bastato perché la storia relegasse la destinataria delle Lettere a Milena all'angusto ruolo di "amica di Kafka". A torto, anche se del tutto involontario, perché Milena Jesenska fu molto di più. Una valente giornalista che negli anni '20 e '30 dalle pagine dei più importanti giornali praghesi si schierò apertamente per i diritti delle donne e per la giustizia in genere.

Una donna generosa, sino all'eccesso, in amore e in amicizia valori che anteponeva a tutto. Ma soprattutto, una donna coraggiosa che seppe trasformare il forte individualismo dei giorni migliori in responsabilità sociale e politica. Nel 1938 quando l'amata patria boema fu soggiogata, incitò alla resistenza contro gli oppressori aiutando a fuggire all'estero ebrei e compatrioti cechi.
Di lì a poco venne arrestata dalla Gestapo e morì a 47 anni, nel campo di concentramento di Ravensbrück nel maggio del 1944 poche settimane prima dello sbarco in Normandia.

L'ULTIMO DONO, L'AMICIZIA

Nel 1939 Milena viene arrestata dalla Gestapo e deportata nel campo di concentramento di Ravensbrück. Lì conosce la scrittrice Margarete Buber-Neumann che così ricorderà il primo incontro tra il retro delle baracche e l'alto muro del campo sormontato da un filo spinato ad alta tensione. Non dimenticherò mai il gesto con cui mi porse la mano per il primo saluto, la forza e la grazia di quel movimento.

"Sono Milena, di Praga. La prego, non scuota la mano come fate abitualmente voi tedeschi. Ho le dita malate"

Fu l'inizio di una grande amicizia che crebbe rigogliosa nel marciume disumano del campo. Sarà Margarete, alla fine della guerra, ad eseguire le ultime volontà di Milena scrivendo il "loro" libro ed esaudendo il suo ultimo desiderio:

"So che almeno tu non mi dimenticherai.
Per merito tuo posso continuare a vivere. Tu dirai agli uomini chi ero, sarai il mio giudice clemente ."

immagine del lager di ravensbruck

detenute del campo di Ravensbruck

Metamorfosi di Milena

Un giorno tra il 1940 e il 1943: campo di concentramento di Ravensbrück, 80 km da Berlino. Due detenute camminano l'una accanto all'altra, a braccetto - cosa vietata dal regolamento! – Camminano con povere ciabatte lacerate. La più alta è Milena (si legge con l'accento sulla i: Mìlena) Jashenskà: Milena racconta sorridendo alla sua compagna, Margarete Buber-Neumann, la storia di un uomo che, dopo una notte di sogni inquieti, si risveglia trasformato in un grosso insetto. L'autore era morto sconosciuto diciassette anni prima, sconosciuto lo era ancora

A differenza della totalità degli interpreti, che vedono nell'insetto una trasfigurazione di Kafka, Milena racconta la storia di Gregor Samsa identificando se stessa con l'uomo-insetto e il suo destino. Lo fa sempre, malgrado il lager, con un sorriso beato e sognante:

“Era lei il viaggiatore di commercio, il Samsa indeciso e disconosciuto che, mutandosi in un insetto mostruoso, viene tenuto nascosto dalla famiglia che si vergogna di lui. Si soffermò in modo particolarmente dettagliato sulla malattia dello scarafaggio, su come infine i suoi familiari lo lasciano morire da solo con una ferita sul dorso nella quale si sono insinuati la sporcizia e gli acari.”

(M. BUBER-NEUMANN, Milena. L'amica di Kafka, Adelphi).

milena foto del 1917

Milena 1917

Franz Kafka Lettere a Milena

(Praga, novembre 1920)

Oggi sono arrivate due lettere. S' intende che hai ragione, Milena, per la vergogna delle mie lettere quasi non ho il coraggio di aprire le tue risposte . Le mie lettere però sono vere o almeno sulla via della verità, che cosa farei mai davanti alle tue risposte se le mie lettere fossero mentite? Facile la risposta: impazzirei. Questo esser veritiero non è dunque un grandissimo merito, è anzi ben poco, io cerco sempre di comunicare qualcosa di non comunicabile, di spiegare qualcosa di inspiegabile, di parlare di ciò che ho nelle ossa e che soltanto in queste ossa può essere vissuto. In fondo non è forse altro che quella paura, della quale si è parlato tante volte, ma paura estesa a tutte le cose, paura delle cose più grandi come delle più piccole, paura, convulsa paura di pronunciare una parola. E' vero che questa paura non è forse soltanto paura , ma anche nostalgia di qualche cosa, e ciò più di tutto ciò che suscita paura.
“O mnè rozbil”*, ciò è qualcosa di perfettamente assurdo. Io solo ho colpa e questa consiste in troppa poca verità da parte mia, ancora troppa poca verità, ancora menzogna nella maggior parte dei casi, menzogna per paura di me e per paura degli uomini! Questa brocca era già infranta molto tempo prima che andasse alla fontana.
E ora chiudi le labbra per rimanere soltanto un poco nella verità. La menzogna è orribile, non esistono peggiori torture spirituali. Perciò ti prego: lascia ch'io taccia, in lettere adesso , in parole a Vienna.
Tu scrivi: o mnè rozbil* , ma vedo soltanto che ti tormenti, che, come scrivi, trovi pace soltanto nelle vie, mentre io sto qui in veste da camera e pantofole, nella stanza riscaldata, tranquillo quel tanto che mi concede la mia “molla d'orologio” (perché devo ben “indicare il tempo”)…..
Potrò segnalare il giorno della mia partenza solo………
….
“O mnè rozbil”* ancora ci ripenso, è altrettanto inesatto come il pensiero del possibile contrario.
……….

*Egli si spezzato contro di me

"E' già tanto tempo che non le scrivo, signora Milena, e anche oggi Le scrivo soltanto per caso: Veramente non dovrei neanche scusarmi se non scrivo , Lei sa come odio le lettere. Tutta l' infelicità della mia vita - e con ciò non voglio lagnarmi, ma soltanto fare una costatazione universalmente istruttiva - proviene, se vogliamo, dalle lettere o dalla possibilità di scrivere lettere. Gli uomini non mi hanno forse mai ingannato, le lettere invece sempre, e precisamnete non quelle altrui, ma le mie. Nel caso mio si tratta di una disgrazia particolare, della quale non voglio dire altro, ma nello stesso tempo anche di una disgrazia generale.
La facilità di scrivere lettere - considerata puramente in teoria- deve aver portato nel mondo uno spaventevole scompiglio delle anime. E' infatti un contatto fra fantasmi, e non solo col fantasma del destinatario,ma anche col proprio, che si sviluppa tra le mani nella lettera che stiamo scrivendo, o magari in una successione di lettere, dove l' una conferma l' altra e ad essa può appellarsi per testimonianza. Come sarà nata mai l' idea che gli uomini possano mettersi in contatto fra loro attraverso le lettere? A una creatura umana distante si può pensare e si può afferrare una creatura umana vicina, tutto il resto sorpassa le forze umane..."

«se tu volessi venire da me, se dunque volessi abbandonare tutto il mondo per scendere da me...non dovresti scendere, bensì sorpassare in modo sovrumano te stessa, in alto, oltre te stessa, talmente che dovresti forse dilaniarti, precipitare, scomparire (certo anche io con te). E tutto ciò per arrivare in un punto che non ha niente di allettante"
«ciò che tu sei per me, Milena, per me al di là di tutto il mondo in cui viviamo, non è detto nei quotidiani brandelli di carta che ti ho scritto» ...«decisiva è la mia incapacità di arrivare al di là delle lettere...e decisiva è la voce irresistibilmente forte, come dire la voce tua che mi esorta a stare zitto».


«È all'incirca come quando uno, prima di ogni passeggiata, dovesse non solo lavarsi, pettinarsi ecc - già questo costa fatica - ma siccome prima di ogni passeggiata gli mancano sempre tutte le cose necessarie, dovesse anche cucirsi il vestito, farsi le scarpe, fabbricarsi il cappello, tagliare il bastone e così via».

"Amavo una ragazza, che mi riamava, ma dovetti lasciarla.
Perché?
Non so. Pareva che fosse circondata da un cerchio di armati... appena mi avvicinavo a lei, urtavo nello loro cuspidi, restavo ferito e dovevo indietreggiare...
Non aveva nessuna colpa la ragazza? Credo di no, o meglio, so che non l'aveva. La similitudine precedente è incompleta, in quanto anche io ero circondato da una cerchia di armati che tenevano le lance contro di me... E' rimasta sola quella ragazza?
No un altro è giunto fino a lei, con facilità e senza ostacoli. E io, esausto dai miei sforzi, sono stato a guardare con assoluta indifferenza..."

Questo incrociarsi di lettere deve cessare, Milena, ci fanno impazzire, non si ricorda che cosa si è scritto, a che cosa si riceve risposta e, comunque sia, si trema sempre.

dipinto praga di tavik frantisek simon

Tavik Frantisek Simon (1877-1942) - Praga

l'amore tra le righe

Sulle pagine del Narodny listy del 6 giugno 1924 apparve un necrologio a firma di Milena.
E' anch'esso una lettera d'amore, la più composta e struggente. …Era timido, timoroso, dolce e buono, ma scrisse libri crudeli e dolorosi. Era lungimirante, troppo saggio per poter vivere e troppo debole per combattere: ma la sua debolezza era quella degli uomini nobili che non sanno misurarsi con la paura, i malintesi, la mancanza di amore e le menzogne intellettuali. Aveva una conoscenza degli uomini che è data soltanto a quelli che vivono in solitudine, agli uomini dotati di così estrema sensibilità che da una semplice mimica facciale riescono a cogliere, con atto quasi divinatorio, un essere umano nella sua interezza..... Solo un'unica frase in più che testimonia l'acume critico di Milena e la grande stima per lo scrittore: "Il dottor Kafka scrisse tra l'altro La metamorfosi, il libro più potente della moderna letteratura tedesca".

lettere a max brod

“Per rispondere alla sua lettera dovrei scrivere per giorni e notti. Lei chiede come mai Frank abbia paura dell'amore e non abbia paura della vita. Io penso invece che non sia così. La vita è per lui qualcosa di totalmente diverso che per tutti gli altri uomini. Soprattutto il denaro, la Borsa, l'ufficio di Cambi, una macchina per scrivere sono per lui cose mistiche (e lo sono realmente, tranne che per noialtri), insomma sono enigmi stranissimi di fronte ai quali lui non ha assolutamente l'atteggiamento che abbiamo noi. Il suo lavoro di impiegato è forse il comune assolvimento di un dovere? Per lui l'ufficio – anche il suo ufficio – è una cosa enigmatica e ammirevole come la locomotiva per un bambino piccolo. Non riesce a capire le cose più semplici di questo mondo. E' stato qualche volta con lui in un ufficio postale? Quando stende un telegramma e scotendo il capo cerca uno sportello che gli piaccia più degli altri, e poi, senza capire assolutamente perché e a che scopo lo fa, passa da uno sportello all'altro finché arriva a quello giusto, e quando paga riceve il resto in spiccioli, conta ciò che ha ricevuto, vede che gli hanno dato una corona di troppo e allora la rende alla signorina dello sportello. Poi s'allontana lentamente, conta ancora una volta e, giunto all'ultimo gradino, s'accorge che la corona restituita spettava a lui. Ebbene, lei rimane perplesso accanto a lui che s'appoggia ora su una gamba ora sull'altra e pensa al da farsi. Tornare indietro è difficile, lassù c'è un mucchio di gente. “Allora lascia correre” dico io. Lui mi guarda atterrito. Come si fa a lasciar correre? Non che gli dispiaccia per la corona. Ma non sta bene. Qui manca una corona. Come si può far finta di niente? E di questo ha continuato a parlare a lungo. Ed è rimasto assai scontento di me. E la stessa cosa si ripete continuamente, in ogni negozio, in ogni ristorante, con ogni mendicante, in diverse varianti. Una volta diede due corone a una mendicante e ne voleva una di resto...”

 

da i turbamenti del giovane kafka di enzo biagi

Allora ho cercato la figlia di Milena Jesenská, la figlia della sua donna. Fu Milena che capì la sofferenza e la grandezza di Kafka, che gli diede le poche ore serene, che lo aiutò a comprendersi: «Milena, tu sei per me il coltello con il quale frugo dentro me stesso». Quando la conobbe, aveva trentotto anni e «i capelli bianchi delle vecchie notti»; lei era sposata, scriveva sui giornali («Era bella come un angelo» mi ha detto un' amica), era molto giovane, ventitré o venticinque anni; lui si stava consumando, lei era fresca e coraggiosa. Milena se n' è andata, alla metà di maggio del 1944, fra i reticolati del campo di Ravensbrück, sfinita dai patimenti, con il peso della memoria e l' affanno d' un congedo senza dolcezza: «Oh», sospirò, riandando al suo Franz, «se potessi essere morta, senza essere obbligata a morire». Ho ritrovato Jana, la figlia di Milena. È una donna sulla trentina, precocemente sfiorita, dagli abiti dimessi, le calze scucite, fuma sigarette da poche corone, lo sguardo affonda nella malinconia. Mi racconta: «La mamma mi parlava qualche volta di Kafka, perché era la sola persona in cui avesse avuto fiducia. Ho ancora qualche lettera dello scrittore; anche quelle che Willy Haas ha stampato sono di mia madre, e mia madre non voleva che venissero pubblicate. Io le ho lette in biblioteca, non possiedo nemmeno il volume. L' ho vista l' ultima volta nel 1940, nel comando della Gestapo, al palazzo Petschek. Mi apparve in fondo a un corridoio, alla luce delle grandi finestre, sembrava un' altra, esile, sfumata, la riconobbi perché zoppicava. L' avevano arrestata perché collaborava a un giornale illegale e perché aveva aiutato qualcuno a fuggire attraverso la Polonia. Mi accompagnò il nonno, che era professore di architettura, anche mio padre era architetto. Dissi alla mamma che non volevo studiare il tedesco, e lei mi rispose che la lingua non c' entra nulla con la gente. Non la vidi più; so che passò due giorni in agonia, dopo un' operazione. Io restai sola e sono stata ospitata da trentacinque famiglie; adesso scrivo novelle e romanzi, e aspetto che la censura mi faccia sapere qualcosa, aspetto da quattro anni». Qualcuno mi dice che anche nella vita di Jana, come in quella della madre, c' è stato più d' un marito, più d' un uomo, ma io non posso giudicare, penso al destino di Milena e provo un sentimento di pietà per Jana Cerna, la bambina cresciuta sola in trentacinque case straniere. «O il mondo è ben piccolo, o noi siamo gigantesche, in ogni caso lo riempiamo» scriveva Franz a Milena, e ognuno cerca di riempire, come può, il vuoto che c' è dentro di noi. Jana mi mostra una piccola fotografia della madre, la sola: i contorni sono sbiaditi, è difficile leggere in questo volto corroso dal tempo. Dovevano essere biondi e gonfi questi capelli, e grandi questi occhi, se facevano confessare a Kafka: «Una volta ho odiato molto un tale perché era amato». Kafka diceva di sé: «Sono brutto, mal vestito», e anche: «Sono spiritualmente incapace di sposarmi». Anche Milena rimase un' ombra nei suoi sogni impossibili e disperati. «Cara signora Milena», comincia l' ultima lettera, «per favore non mi scriva più». Non c' è neppure un' ora per il dialogo, bisogna che l' uomo Kafka si prepari all' addio. È la fine. Ma aveva detto una volta: «Non prendo commiato. Come potrei farlo se tu sei viva?». L' uomo Kafka se ne va per sempre il 17 maggio 1944, nel campo nazista di Ravensbrück. Se ne va con Milena Jesenská.