Sono solo stanco

La tangenziale era quasi deserta.
L'uomo teneva le mani ben salde sul volante, le nocche quasi bianche per lo sforzo. Aveva gli occhi stretti circondati da piccole rughe. Guidare di notte gli dava fastidio.
La donna seduta al suo fianco lo guardava con insistenza.
“Sei molto silenzioso, stasera”, proruppe ad alta voce.
La musica di una vecchia canzone frusciava dalla radio.
“Lo sai che non mi piacciono le feste. Sono solo stanco”, rispose l'uomo, “ho voglia di tornare a casa”.
I lampioni lungo la strada illuminavano a intermittenza l'interno della macchina, rivelando due facce pallide e tirate.
La donna si aggiustò gli occhiali sul naso, strinse la borsetta che teneva sulle ginocchia, e si voltò verso di lui.
“Ti ho visto”, disse, poi si schiarì la gola e ripeté più forte, “ti ho visto”.
L'uomo inarcò le sopracciglia, e lei riprese: “la ragazza che ballava vicino al nostro tavolo ti ha dato qualcosa, un biglietto, non so. Ti ho visto metterlo in tasca”.
L'uomo si morse il labbro.
“Era un biglietto, vero? La conosci, non è vero?”, incalzò lei con una voce stridula.
“Smettila, sei patetica”, disse l'uomo.
La donna si protese verso di lui, si aggrappò alla sua giacca con le mani e cercò di raggiungerne le tasche. L'uomo si agitò sul sedile facendo sbandare la macchina. Le dita della donna trovarono le tasche chiuse, cucite come quando la giacca era stata acquistata.
Ora la donna lo strattonava per il colletto della camicia e gridava: “dove hai messo quel biglietto? Dove?”
Gli passò sotto le braccia e cominciò a frugargli i pantaloni alla rinfusa. Le caddero gli occhiali. Mentre cercava di recuperarli lui gridava di smetterla, di fermarsi.
“Finiremo fuori strada”, le urlò ancora, ed abbassò lo sguardo. Dalla tasca destra dei suoi pantaloni spuntava il lembo di un pezzo di carta.
L'uomo lo sfilò dalla tasca e lo strinse nel pugno.
Nel sollevare gli occhi vide un'ombra che sfrecciava davanti ai fari della macchina. Frenò di colpo aggrappandosi al volante.
La donna scivolò tra le ginocchia dell'uomo e la parte bassa del cruscotto. Qualcosa era passato sotto le gomme dell'auto, un piccolo sobbalzo, poi più niente.
L'uomo fermò la macchina e spense il motore.
La donna si era sollevata lentamente, gli occhiali ridotti ad una scultura contorta, tracce di sangue sopra l'orecchio destro. Piangeva.
Scesero dalla macchina e si voltarono verso il tratto di strada appena percorso. Un gatto di medie dimensioni giaceva sull'asfalto.
L'uomo si avvicinò all'animale, si chinò su di lui dando le spalle alla donna e rimase accovacciato per un po' con il biglietto in mano. Le dita gli tremavano mentre tentava di aprirlo.
“Cosa stai facendo?”, chiese la donna.
L'uomo ebbe un sussulto. Infilò velocemente il biglietto ancora ripiegato sotto le zampe posteriori dell'animale e
si drizzò sulla schiena.
Tornò dalla donna a testa bassa.
“E' morto”, disse.
“Mi dispiace”, disse lei, “è colpa mia, mi dispiace”.
Risalirono in macchina. Lui la guardò con sufficienza.
“Sei sporca di sangue. Torniamo a casa”.
“Sì”, rispose lei con un filo di voce.
Abbassò il parasole per guardarsi nello specchietto e tamponò la ferita con la manica del maglione.

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