Olga

Sfilarsi Olga dalle dita era una questione delicata. I polpastrelli caldi, nudi d'improvviso e quasi orfani, brancolavano nell'aria a svaporare il ricordo tattile.
Guardavo le sue scarpe rosa gettate sulle lenzuola, pensando che io non le avrei potute portare. Camminare sui tacchi non è il mio forte, ed il rosa mi piaceva solo addosso ad Olga. Anche il fermaglio con cui tratteneva i suoi capelli era rosa, e le sue labbra grandi.
A volte mi studiavo allo specchio, provando a raccogliere i capelli come i suoi, ma mi sentivo una stupida e ridevo di una vanità che non avrei mai mostrato.
Il suo piccolo armadio, invece, era pieno di cose eleganti ed abiti da sera.
D'altronde era la notte, il suo unico momento di vita.
Il resto del tempo Olga lo passava sul mio letto, mentre io accarezzavo i suoi vestiti.
Olga si muoveva con voluttà dentro quegli abiti e quando raccontava le sue storie, tra una canzone e l'altra, il pubblico l'ascoltava in estasi.
La voce di Olga vibrava tra i bicchieri, era una coperta che si avviluppava nello stomaco, mordeva gli uomini nel sesso ed eccitava anche le donne.
Quella voce mi rimbalzava dentro, impastata di lingua e saliva, perché era la mia.
Quando c'incontrammo, Olga costava quindici euro.
Giaceva a pezzi nella sua scatola, nuda. Era la prima volta che vedevo un burattino “da dita”.
Olga era composta da cinque piccoli guanti di gomma. La testa s'infilava nel dito medio, l'anulare e l'indice erano per le braccia, il pollice ed il mignolo per le gambe.
I suoi abiti li feci collezionare in seguito.
Quasi tutti neri, Olga non amava le mezze misure, in nessun caso. Quando stava sul palcoscenico diceva cose del tipo: “Perché mi guardi così? La vorresti una donna come me?”, e mentre l'uomo a cui si rivolgeva annuiva con malizia, lei abbassava la voce di colpo e replicava secca: “Davvero vorresti un burattino?”
La gente in sala lasciava salire un mormorio, si muoveva sulle sedie. L'uomo in questione guardava altrove, ostentando un sorriso inquieto.
Io non potevo dire nulla. Restavo celata dietro il teatrino di legno, mentre Olga s'impossessava della mia mano e delle mie corde vocali. Alla fine dello spettacolo, quando uscivo per presentarmi, il pubblico sembrava quasi in imbarazzo. La mia presenza li infastidiva ed Olga ne approfittava per trattarmi male.
“Ehi tu”, diceva rivolta al pubblico, “se veramente vuoi un burattino, prendi questa donna”.
Il pubblico rideva ed applaudiva. Io fingevo un'espressione offesa, poi ridevo con loro. A dirla tutta, fingevo che la mia faccia offesa fosse finta, e persino Olga mi credeva.
La cosa peggiore era che mi sentivo in imbarazzo anch'io. Mi sembrava di essere stata lì a spiare per tutto il tempo. A nascondermi dietro Olga. Dentro Olga.
Fu proprio dopo una delle sue malignità, una sera di quelle in cui Olga diede il meglio di sé, che decisi di ucciderla. Quella notte tornai a casa lasciando che Olga continuasse a muoversi sulle mie dita. Seduta sul letto mi tolsi le sue gambe, poi le braccia.
Mi nascosi sotto le lenzuola, io e la testa di Olga. La usai per procurarmi piacere, spinta da un'eccitazione feroce e cattiva. Subito dopo la sfilai rabbrividendo di vergogna.
Strinsi il suo corpo a pezzi nel pugno, schiacciandolo più volte. Olga rispose elastica con il suo sorriso di gomma.
La nascosi sotto il cuscino, tentando di soffocarla con il peso del mio corpo, finché non mi addormentai.

Il giorno dopo Olga si esibì con la solita esuberanza; nessuno si accorse, tranne me, che di tanto in tanto voltava impercettibilmente la testa all'indietro. Credo che avesse paura.
Ad un certo punto ordinò da bere per me. Disse che doveva coccolarmi, ogni tanto, e che in fondo era nelle mie mani. Il pubblico rideva ancora quando la voce di Olga migrò nella mia bocca e disse: “E' la mia mano ad essere in te”.
La guardai, ammirando mio malgrado la sua eleganza, e con la sinistra le tolsi le gambe svitandole appena dalle mie dita. Il pubblico ammutolì. Continuavo a guardare la mia povera Olga mutilata, e feci fare la stessa fine alle sue braccia. Lasciai la testa per il gran finale, perché volevo che vedesse tutto.
Lanciai i suoi arti in mezzo alle sedie, mentre la gente
inorridita si scansava e gridava. Accarezzai un'ultima volta il suo chignon con il fermaglio rosa, e poi le sfilai la testa con i denti e la feci sparire in bocca.
Scesi dal palco sazia d'Olga e del mio amore cannibale.
I polpastrelli caldi, nudi d'improvviso e quasi orfani, brancolarono nell'aria a svaporare il ricordo tattile.

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