L'Attaccapanni
Gli ultimi ospiti erano andati via da poco, lasciandola sola con i resti
della cena.
Guardò la tavola disseminata di bicchieri, briciole, pezzi di pane.
Non era stata una serata esaltante, le solite chiacchiere su chi non c'era,
su Giulia che conduceva una vita sregolata, Marco che era rimasto senza
patente, i figli che crescevano e quanto ti facevano disperare.
Si tolse le scarpe e si accomodò sul divano. Si accorse di una smagliatura
sulla calza, cominciò a stuzzicarla, la pizzicò seguendo la
crepa sottile che le scendeva fino alla caviglia. La smagliatura scoprì
una strisciolina di pelle bianchissima.
Il suo sguardo fu attratto dall'attaccapanni vicino alla porta d'ingresso.
Era un attaccapanni di quelli dozzinali, di plastica grigia, con un basamento
blu che somigliava ad un vaso per contenere fiori dal gambo lungo.
In effetti conteneva il bastone centrale dell'attaccapanni, alle cui
estremità si allargavano otto braccia. Otto piccoli rami protesi
verso il soffitto.
Fino a mezz'ora prima era ricoperto da un accenno di vita: giacche
invernali, una pelliccia, un paio di sciarpe scure.
Ora il suo attaccapanni era un albero senza foglie.
Si alzò con un gesto di disappunto, si avvicinò al tavolo
e versò del vino in un bicchiere scelto a caso tra gli altri.
Bevve in un sorso, con gli occhi ancora incollati all'attaccapanni.
Lo raggiunse a passi lenti, strisciando i piedi scalzi sul parquet.
Ne circondò il fusto centrale avvolgendolo in un abbraccio, e lo
inclinò leggermente di lato.
“Fammi ballare”, gli disse.
Facendo rotolare il basamento dell'attaccapanni sul legno, cominciò
a fargli compiere piccoli cerchi.
Raggiunse il centro della stanza, girando e girando con il suo attaccapanni
pieno di passione, sotto la luce impietosa del grande lampadario.